Il padre
GENERE: Drammatico
ATTORI: Tahar Rahim, Sevan Stephan, Shubham Saraf, Alì Akdeniz, Zein Fakhoury.
REGIA: Fatih Akin
ANNO: 2014
NAZIONE: Italia, Russia, Canada, Polonia, Turchia,Germania, Francia
DURATA: 138
LINGUE:
SOTTOTITOLI:
CONTENUTI EXTRA:
SUPPORTO:
REGIONE:
FORMATO VIDEO:
FORMATO AUDIO:
CENSURA:
DISPONIBILITA: In 7/10 giorni
PREZZO : 9,99 €
fin dal nome Nazaret tradisce la religione e il gruppo etnico di provenienza per i quali viene catturato, separato dalla sua famiglia, messo ai lavori forzati, poi condannato a morte e (scampato miracolosamente) vessato ogni qual volta incontri l'autorità. Nell'impero Ottomano degli anni della prima guerra mondiale, assieme a molti altri armeni, la sua famiglia è vittima di uno dei primi genocidi programmati a tavolino. L'aver scampato la morte costa a Nazaret le corde vocali ma senza curarsi del problema d'essere muto affronterà viaggi nel deserto, nelle città e infine attraverso l'oceano per ritrovare le figlie da cui è stato diviso.
É con un quasi-kolossal, un affresco storico tra due continenti nello stile di David Lean o più prosaicamente delle europroduzioni dall'obbligata (e fastidiosissima) lingua inglese, che Fatih Akin chiude la sua trilogia su Amore, Morte e Satana. Il demonio di questo film non è difficile da individuare, è sia da una parte ben precisa che in tutti gli uomini che compaiono, dovunque il protagonista si rechi c'è un suo simile pronto ad atti immondi che Akin si assicura di filmare per sottolinearne la malvagità, non aderendo a nulla che non sia il punto di vista del suo piccolo uomo dal "culo secco".
Muto e determinato il protagonista di Tahar Rahim è il testardo motore perpetuo di questo film, protagonista di mille avventure alla ricerca delle figlie gemelle, sospinto dall'altro piccoletto, muto e determinato del cinema, Charlot, visto in una proiezione (la prima della sua vita e si intuisce anche dei luoghi che abita) di Il monello.
Il furioso Akin capace di dare un taglio rigoroso e preciso a storie bohemiene, cantore fenomenale della vita come viene e degli sconvolgimenti sentimentali in personaggi che nulla pianificano e tutto vivono a pieno, qui cambia stile, posa il coltello e impugna la spazzola, si nasconde totalmente e muta pelle alla ricerca di altri linguaggi, più generalisti, buoni per tutti e acquietati, come si conviene ad una produzione internazionale. Si concede dolly e grandi scene, gira in deserti remoti e dirige attacchi ai treni ma poi dello sturm un drang che aveva dimostrato di saper raccontare così bene (anche in una commedia solo apparentemente innocua come Soul kitchen) non rimane nulla. In questo polpettone storico dalla trama intoccabile e canonica, dove tutto è nel posto in cui dovrebbe essere (i buoni, i cattivi e ahimè anche il punto di vista del pubblico), non ci sono i guizzi dei migliori registi di kolossal, i grandi cineasti di sistema, e nemmeno le peculiarietà dei pesci che nuotano controcorrente come lui.
Partito nell'impero Ottomano (ovvero le radici della sua Turchia) e finito in America (ovvero le radici dello stile cinematografico di cui è permeato) The Cutrievoca le sensazioni delle proiezioni da aula magna del liceo, il cinema didascalico, pieno di buone nozioni, esatto in ogni riferimento, preciso nell'identificare la lettura storica opportuna che però conserva solo un languido rimasuglio di quello che dovrebbe essere l'inebriante sapore dolceamaro della storia messa scena.
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